lunedì 6 novembre 2017

Le fave dei morti e le tradizioni del 2 novembre in Liguria

In tutta la Liguria il 2 novembre, la tradizionale giornata dedicata ai morti, è sempre stata celebrata in diverse forme, da piccole consuetudini a veri e propri riti di accoglienza basati sulla credenza che i morti “tornassero” in quella data, a visitare i luoghi, le cose e le persone della loro vita terrena.
Questo testo è tratto da “Il cerchio del tempo” (Sagep 1991), volume nel quale l’antropologo Paolo Giardelli, ha raccolto i suoi studi sul folklore e l’antropologia della Liguria.
In quel periodo, per 12 giorni, fino a San Martino (11 novembre), i defunti erano oggetto di cerimonie e tradizioni non meno complesse dell’attuale Halloween (dall’inglese arcaico “All Hallows' Day” "Notte di tutti gli spiriti sacri", cioè la vigilia di Ognissanti).
Tendenza comune era, nel tempo dei morti, quella di riordinare la casa e le camere e di alzarsi presto, per lasciare il letto ai morti stanchi del lungo viaggio. Allo stesso modo si lasciava cibo e vivande in tavola per permetter loro di rifocillarsi.
Nell'Imperiese si lasciava aperto il cassone dei fichi; a Isolabona, in Val Nervia si aprivano la porta e le finestre dell'abitazione. In Val Bormida si accendeva il fuoco nel camino, mentre al Garbo, in Val Polcevera, la sera prima del giorno dei morti, si preparavano i letti con lenzuola pulite, si velavano gli specchi e si puliva la casa rendendola più accogliente per ricevere i morti. Finestre e balconi venivano lasciati aperti per favorire la visita dei defunti. Ci si alzava presto per lasciare il letto ai morti e gli si lasciava cibo in tavola per rifocillarli del viaggio. A Monterosso si accendevano lumi perché i morti trovassero più facilmente la strada di casa mentre in Lunigiana, quella notte, si andava a pregare al cimitero e si bussava sulle tombe per svegliarli.
In Liguria la vigilia del 2 novembre era rituale consumare castagne: nel corso della Veglia serale dei morti i parrocchiani andavano in chiesa ornati di collane di “ballotti”, castagne bollite infilate in fili di ginestra, che venivano mangiate durante la funzione.
Il pranzo del giorno dei morti aveva un menu particolare: si mangiavano soprattutto fave, pianta che, con il loro unico fiore scuro, ricordava quella giornata triste. In tavola si portava anche lo Stoccafisso con bacilli: piccoli e scuri, sono una via di mezzo tra le fave e i ceci. Dopo lo stokke si consumavano i "balletti", castagne bollite in acqua con rametti di finocchio selvatico. Altra pietanza poteva essere lo zemin di ceci. 
Le nonne preparavano come regalo ai nipoti, una "resta", cioè una collana fatta con filo o spago composta di castagne bollite alternate alle mele Carle, oggi molto rare, il tutto assieme all'“Officieu" una sottile candela multicolore e multiforme che piaceva molto ai bambini e doveva ardere nel corso delle orazioni serali e della recita del S. Rosario con la famiglia riunita davanti alle immagini dei propri cari defunti.
I morti, secondo la tradizione, tornano alle loro case con una lugubre processione, uscendo dal cimitero in lunga fila a due a due, vestiti di cappa e cappuccio nero come dei battuti. Dalla vigilia del 2 novembre, per il periodo delle “12” notti, come da Natale all'Epifania, potevano verificarsi le “apparizioni” dei defunti. Dice sempre Giardelli che al Picco Spaccato, località sopra Albisola, secondo la tradizione, nella notte dedicata ai defunti si radunavano i morti anzitempo, cioè le anime degli uccisi, degli annegati e dei morti bambini, che si muovevano in processione, con cappe nere e ceri, salmodiando lugubremente.
Ma il rito più impressionante era la “chiamata”, ancora in uso fino ai primi anni 2000 nella zona di Albenga, e in valle Arroscia, con cui, nelle confraternite si ricordavano i fratelli scomparsi, che, negli anni, potevano essere moltissimi, dopo una processione alla luce delle torce nel cuore della notte.A Genova si aprivano le catacombe e i sotterranei delle chiese, in cui gli scheletri avvisavano i visitatori del nostro comune destino.
In Lunigiana si narra della Menada, una sorta di danza macabra che accadeva nei pressi di Rocchetta Vara, in cui misteriose donne danzavano in cerchio con fiaccole nella notte.
Altra usanza tipica del 2 novembre erano le “cantegore”, la raccolta di offerte in natura effettuata durante canti in memoria dei morti, spesso praticata dai bambini. Così accadeva a Diano Marina, Monterosso, Pietra Ligure. A Loano i bambini uscivano di casa a mezzogiorno e andavano di porta in porta con un recipiente a chiedere una cucchiaiata di “zemin p'è annime di Morti”, a suffragio dei defunti. A Bolano, la vigilia del 2 novembre, al termine dei vespri, i ragazzi andavano per le strade gridando a porte e finestre “Ar ben di morti, Chi non dà, gent tutti porki” per ricevere noci, fichi secchi, caramelle o soldi, mentre a Genova le osterie potevano offrire gratuitamente “stokke e bacilli”, stoccafisso e fave lessate; a Dolceacqua e Molini di Triora nel sagrato della chiesa si faceva un pentolone di minestra di riso e fagioli o ceci, offerti ai poveri e a tutti coloro che in quel giorno passavano per il paese.
Anche da noi si usava tagliare zucche, svuotarle e porvi candele all’interno, usanza praticata a Rezzo e in valle Arroscia, mentre per festeggiare la chiusura dei dodici giorni, in molte località si organizzava un banchetto con motteggi e lazzi di tipo carnevalesco. A Monterosso questa usanza sarebbe ancora viva e un comitato di cittadini prepara le burle e gli scherzi per chi torna in paese, reo di averlo abbandonato e tradito.

Ingredienti 


Dolcetti tipici per commemorare i defunti della Lombardia, Liguria, Lazio e altre regioni italiane.
Ogni regione ha la sua variante: in Lombardia e in Liguria si colorano l'impasto con il colorante verde per farle assomigliare di più a quelle vere.







  • 100 gr di farina
  • 200 g di mandorle sbucciate
  • 20 gr di pinoli tritati
  • 100 g di zucchero
  • 30 g burro
  • 1 uovo
  • cannella
  • rosolio q.b.
Riducete in polvere le mandorle ed i pinoli e mescolatele poi a tutti gli altri ingredienti aggiungendo 1 o 2 cucchiai di rosolio e lavorate bene l' impasto in modo che risulti omogeneo. Accendete il forno a 180 gradi e foderate una teglia con un foglio di carta oleata.



Stendete la pasta su una superficie leggermente infarinata, ricavate un rotolino che taglierete in pezzetti grandi come una grossa nocciola e che schiaccerete col palmo della mano in modo da ottenere delle piccole fave spesse cira 1 cm. che adagerete sulla teglia precedentemente preparata.







Fate cuocere per circa 10-15 minuti finché saranno diventate di un bel colore biondo facendo attenzione a che non brucino data la loro piccola misura.
Sfornatele, staccatele con delicatezza e fatele raffreddare.

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